venerdì 30 agosto 2013

Rise of the Triad

Digressioni antiche

Rise of the Triad è un videogioco manifesto. Il suo concept di base non è tanto (o non solo) quello di sparare, schivare proiettili e raccogliere oggetti sparpagliati per i livelli, quanto quello di ricalcare il design di un FPS degli anni novanta in polemica con quello che è diventato il genere attualmente (non per niente è un remake). Di base c’è tutto quello che è stato rimosso con gli anni per non scontentare i videogiocatori dalle menti semplici: velocità, una gran quantità di nemici contemporaneamente sullo schermo, livelli intricati, chiavi da cercare per aprire porte, segreti a iosa, oggetti rotanti messi in bella vista, ciotole curative e armi nascoste nei cessi pubblici. I protagonisti fanno battute a ripetizione, ruttano quando mangiano e sanno di dover morire di tanto in tanto. Non solo: ci sono salti da compiere per superare baratri di lava posizionati in modo ameno, ci sono aree costruite sull’asse y invece che sul solo asse x (necessità di design dettata dall’uso del joypad, come spiegò un tempo il buon Carmack per la versione Xbox di Doom 3, solo in parte mitigata negli ultimi anni), ci sono piattaforme e ci sono tutti quei piccoli accorgimenti di design pensati appositamente per chi desidera tornare a respirare di frag e rocket jump senza passare ore a guardare filmati travestiti da gameplay. Il resto è vuoto spinto, con una trama senza senso, dei nemici che sono fontane di sangue ambulanti, bulbi oculari sbattuti in primo piano che celebrano un razzo andato a segno e armi assurdamente potenti (spesso semplicemente assurde) da scovare in ogni dove. Nessuna pretesa, nessuna promessa, solo gameplay antico. Solo un mondo pensato come meccanismo mortale, che ammette anche il fallimento (ossia l'abbandono del gioco) invece che come scivolo per bambini.


Contemporaneamente a Rise of the Triad mi è capitato di provare l’inizio della campagna single player di Battlefield 3 (di cui non commento il multiplayer, badate bene, tutta un'altra storia). Dopo la terza missione, quella a bordo dell’aereo, ho disinstallato per pena sovvenuta. A parte la stupida trama militareccia, la lamentela verte sul fatto che non sono stato chiamato a fare niente. Nel gioco, tutti mi dicevano cosa dovevo fare… e quando non me lo dicevano, il gameplay era così guidato che quasi mi sentivo inutile. Certo, a un certo punto sfondi un palazzo con un razzo. Ma ripensando a quel momento ricordo solo di aver dovuto mirare a un bersaglio gigantesco e di aver premuto il tasto sinistro del mouse seguendo le istruzioni a schermo, completamente disinteressato all'azione. Il livello sull'aereo è stato il tocco finale, praticamente un laser game mascherato.

Il confronto tra il povero Rise of the Triad e il ricco Battlefield 3, il secondo inteso come prototipo delle modalità single player degli sparatutto moderni, è tutto filosofico e riguarda non solo i giochi in sé, quanto la capacità del videogiocatore di tornare a concepirsi all'interno di una macchina ludica mossa da certe regole, a volte spietate, o il suo voler rimanere dentro a una giostra, illuso di essere il centro dell’azione, ma in realtà gregario di un sistema necessario a far scorrere quanto programmato. La rozza sincerità del primo, che ti chiede un miglioramento costante, si scontra con la sontuosa viscidità del secondo, che non pretende nulla se non di illuderti di essere tu il protagonista. Insomma, Rise of the Triad ti chiede costantemente di mettere in gioco qualcosa di tuo, cosa che Battlefield 3 si guarda bene di fare. La differenza è tutta nella scritta EXIT che si trova, o non si trova, alla fine di un livello.

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