High Score non è un documentario sulla storia dei videogiochi, ma su di un gruppo di persone, per la gran parte statunitensi, che hanno fatto soldi durante i primi anni di vita degli stessi. In termini specificatamente documentaristici, è un guazzabuglio di aneddoti riguardanti alcuni fenomeni dell’epoca, mescolati insieme ad alcune storie minori dedicate all’inclusività e a quelli che vengono presentati come gli albori degli esport (una marchetta evidente).
Formato da sei episodi, teoricamente vorrebbe raccontare le origini del medium videoludico facendo parlare alcuni dei protagonisti degli anni '70, '80 e '90. Anzi, meglio sarebbe dire delle "rockstar". Purtroppo adopera un linguaggio fortemente retorico, fatto di primi piani, piani americani e campi lunghi dalla funzione strettamente mitopoietica, che inquadrano ognuna delle persone intervistate nello schema del genio ribelle e inconsapevole, incarnante suo malgrado il sogno americano, il mito della frontiera e della terra delle opportunità per chiunque abbia un’idea da far fruttare.
In tutto questo High Score si dimentica la storia, non solo quella dei videogiochi a dirla tutta, recintando il suo discorso intorno ai soli USA, con una spruzzata di Giappone (lì dove però ha incontrato l’occidente) e nessun accenno alle altre scene internazionali. Sega? Esiste solo per il Genesis e si parla solo di Kalinske (presidente della divisione USA all’epoca del sorpasso su Nintendo) e di Sonic. La grande crisi del 1983? Un accenno veloce, più concentrato sugli aneddoti riguardanti ET che sulle cause effettive del crollo. Si parla di giochi di ruolo? Allora via a intervistare Roberta Williams (diventata famosa soprattutto per le avventure grafiche), un Richard Garriott trasformato in macchietta e seppellito dai suoi stessi aneddoti, e l’autore del misconosciuto Gay Blade, con dei salti cronologici senza senso e delle associazioni così forzate da diventare stucchevoli e quasi fastidiose, tipo il parallelo fatto tra Star Fox e DOOM, presentati quasi come i giochi che hanno inventato il 3D.
Si parla di picchiaduro? Si parte da Street Fighter ignorando tutto ciò che lo ha preceduto e si associano in modo estemporaneo Street Fighter 2 e Mortal Kombat, con quest’ultimo usato per ricostruire in modo superficialissimo il grande dibattito che nacque per via del modo in cui rappresentava la violenza. A un certo punto viene tirato dentro anche Night Trap, che viene misteriosamente esaminato con un’attenzione impressionante per delle curiosità che hanno poco a che vedere con il discorso generale.
I momenti migliori di High Score sono quelli dedicati ai singoli giochi, ossia quando vengono mostrati bozzetti o vengono svelati alcuni segreti dello sviluppo. Si tratta per la gran parte sempre di aneddoti, e i bozzetti corrono sullo schermo senza alcun peso, ma quantomeno sono dei documenti che hanno senso e che sono utili a capire un pezzetto del lavoro che c'è dietro allo sviluppo di un videogioco. Per il resto è difficile trovare qualcosa che sia davvero rilevante e che aiuti davvero a far luce su quei caotici e splendidi anni. Mancano nomi, mancano numeri, mancano piattaforme e mancano dati. High Score pecca enormemente di omissione e, in ultima istanza, fa tutto tranne che documentare.
I momenti migliori di High Score sono quelli dedicati ai singoli giochi, ossia quando vengono mostrati bozzetti o vengono svelati alcuni segreti dello sviluppo. Si tratta per la gran parte sempre di aneddoti, e i bozzetti corrono sullo schermo senza alcun peso, ma quantomeno sono dei documenti che hanno senso e che sono utili a capire un pezzetto del lavoro che c'è dietro allo sviluppo di un videogioco. Per il resto è difficile trovare qualcosa che sia davvero rilevante e che aiuti davvero a far luce su quei caotici e splendidi anni. Mancano nomi, mancano numeri, mancano piattaforme e mancano dati. High Score pecca enormemente di omissione e, in ultima istanza, fa tutto tranne che documentare.


Nessun commento:
Posta un commento
Provaci...