Il Reich
nasconde ancora in sé qualcosa di affascinante; uscito di scena, tuttora
incanta l'anima, invita come un miraggio e attira come lo sguardo del basilisco.
Il Reich sembrava una grandiosa mistificazione; tutti i suoi cittadini, da
quelli privilegiati a quelli miseri, dagli altissimi funzionari di partito ai
lucida stivali ambulanti, apparivano legati da una sorta di giuramento che li
vincolava a dire o a tacere certe cose, e tutti insieme davano l'impressione di
persone che una volta per tutte si fossero messe d'accordo a dirsi il falso,
solo il falso, nient'altro che il falso. Ma il bello è che, convinti della
necessità di occultare la verità, dopo avere convinto se stessi che non si doveva
nemmeno cercare di penetrare l'essenza delle cose, come non si deve aprire il
coperchio di un orologio prezioso per dare un'occhiata al meccanismo o, il
bello è che la verità non la conoscevano nemmeno.
La
segretezza era il tratto caratteristico di quell'ordinamento; così come la
maggior parte della gente ha un'idea assai vaga del principio di funzionamento
del telefono o del ferro da stiro elettrico, cosi come per la maggior parte
della gente l'attività del proprio corpo rimane un segreto impenetrabile, allo
stesso modo la stragrande maggioranza dei sudditi del Reich non aveva la più
pallida idea di quanto succedeva nel paese. In quello stato tutto era posto sotto
segreto, tutto era avvolto gelosamente nel mistero, a partire dalla politica
estera per finire con le calamità naturali e con la statistica dei divorzi.
Nessuno sapeva nulla né aveva diritto di sapere, tutto era sottoposto a
scrupoloso occultamento davanti alle orecchie e agli occhi di tutti, poiché
ognuno era sospetto e la gente viveva con la convinzione che lo stato dentro e
fuori fosse circondato da schiere di nemici. C'era la convinzione che questi
nemici captassero avidamente qualsiasi parola sfuggita incautamente per usarla
a danno del paese. E i nemici, il cui numero, nonostante le disposizioni per il
loro sterminio, non diminuiva, erano al centro di enormi preoccupazioni
all'interno delle istituzioni partitiche e statali; esisteva un autentico culto
del nemico, non era più sufficiente per la lotta contro le spie sovversive una
sola polizia segreta: nel vasto territorio del Reich funzionavano cinque
polizie indipendenti l'una dall'altra e altrettanti controspionaggi; la loro
rapida proliferazione faceva venire in mente l'analogo fenomeno nell’industria,
campo assai promettente. I nemici e gli elementi ostili giustificavano
l'esistenza di una massa enorme di uffici statali, e dunque l'opposizione al
Reich, immaginaria o reale che tosse, in un certo senso era indispensabile alla
sua stessa esistenza.
La natura
mistica del Reich si esprimeva nel suo fondarsi su leggi di origine ignota. No,
non su quelle leggi che solennemente si annunciavano al popolo, si iscrivevano
nei libri d'oro e si scolpivano nel marmo, di cui era doveroso essere
riconoscenti giorno e notte al governo e al partito; forse anche queste leggi avevano
un effetto sul paese, ma nella sua vita non si riflettevano. Da base e da guida
degli innumerevoli organismi esecutivi fungeva qualcos'altro. La segretezza
delle interpretazioni parziali della legge, delle istruzioni, delle regole e di
quelle particolari deliberazioni denominate obiettivi, per la maggior parte
segreti, indiscutibili come il verbo divino, anche se non di rado si
contraddicevano l'un l'altro, consisteva nel fatto che per quanto uno salisse
la scala della gerarchia dirigenziale, da nessuna parte avrebbe trovato i compilatori
di quelle leggi, né avrebbe trovato gli iniziatori e i creatori del regime; i
compagni di partito, anche di alto grado, erano sempre meri esecutori di una
direttiva emanata ancor più in alto e, dunque, avevano tutti pari
responsabilità; o, in altre parole, nessuno rispondeva di nulla.
La
suprema segretezza del Reich consisteva nel fatto che tutto quanto, dalla testa
ai piedi, esso era permeato dal mito. Per la precisione, era un mito
incarnatosi nella realtà, chiuso in se stesso e universale. Questo mito era
davvero universale, poiché abbracciava tutti gli aspetti della vita. Conteneva
in sé una risposta ultima e definitiva a tutti i problemi. L'enorme stato sorto
come una fenice al centro dell'Europa al volgere del primo terzo del Novecento
era una nazione mitica che aveva sostituito la mitologia alla storia, con
davanti una moralità mitologica e un mitico ideale; in tutte le sue funzioni
manifestava immancabilmente la propria essenza trascendente. Eppure il popolo
l'accettava come se fosse la verità. Succedeva così perché l'autentica verità
gli si presentava spaventosa e scomoda; la forza della segretezza, al
contrario, allettava e riscaldava. Come un malato di mente, non era consapevole
della propria follia. S'intende che il mito del Reich, come di ogni altro stato
simile ad esso, a giudicarlo dall'opera dei suoi teorici, dalla produzione dei
suoi poeti, dalle vite dei santi, dalla calligrafia scolastica, dalla logorrea
delle guide, da qualunque escreto della coscienza nazionale, aveva un carattere
del tutto delirante. Questo gli conferiva un fascino incomparabile. E il suo
mito si sviluppava secondo le leggi ben note della formazione del delirio; e
sarebbe illuminante osservare come, passato lo stadio produttivo (ossia l'epoca
del rovesciamento rivoluzionario) e lo stadio di sistematizzazione, esso si sia
avvicinato al livello in cui il delirio di chi ha disturbi psichici sbiadisce e
si dissolve, lo stadio della disgregazione della psiche. Ma il Reich non
sopravvisse alla morte del proprio mito, il regime non fece in tempo a
estenuare se stesso, e forse fu per questo che restò giovane in eterno.
I tamburi si misero a rullare, l'uccello-fenice a battere le ali, il Reich, sentendo il bisogno pressante di espandersi, cominciò la guerra. Una propaganda senza precedenti per mole e sfacciataggine, con forza nuova fece risuonare i tamburi, e il mito, come bagnato dalla tempesta, rinacque e cominciò a brillare di tutti i colori al sole.
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