lunedì 14 marzo 2022

Estratto dal romanzo breve "L'ora del Re" di Boris Hazanov (ottavo capitolo)

Non osiamo presentare al lettore una personale soluzione di quello che in seguito fu definito l'enigma del Reich; non abbiamo però la forza di resistere alla tentazione di dare un'occhiata di sfuggita al fenomeno sotto l'aspetto che più suggestiona e colpisce l'immaginazione. Intendiamo quella particolarità dello stato nazionalsocialista di riprodurre in modo peculiare e immediato il mondo di chi è affetto da turbe psichiche, con la sensazione di dissolvimento della realtà e di presenza di forze occulte che dominano pensieri e comportamento.

Il Reich nasconde ancora in sé qualcosa di affascinante; uscito di scena, tuttora incanta l'anima, invita come un miraggio e attira come lo sguardo del basilisco. Il Reich sembrava una grandiosa mistificazione; tutti i suoi cittadini, da quelli privilegiati a quelli miseri, dagli altissimi funzionari di partito ai lucida stivali ambulanti, apparivano legati da una sorta di giuramento che li vincolava a dire o a tacere certe cose, e tutti insieme davano l'impressione di persone che una volta per tutte si fossero messe d'accordo a dirsi il falso, solo il falso, nient'altro che il falso. Ma il bello è che, convinti della necessità di occultare la verità, dopo avere convinto se stessi che non si doveva nemmeno cercare di penetrare l'essenza delle cose, come non si deve aprire il coperchio di un orologio prezioso per dare un'occhiata al meccanismo o, il bello è che la verità non la conoscevano nemmeno.

La segretezza era il tratto caratteristico di quell'ordinamento; così come la maggior parte della gente ha un'idea assai vaga del principio di funzionamento del telefono o del ferro da stiro elettrico, cosi come per la maggior parte della gente l'attività del proprio corpo rimane un segreto impenetrabile, allo stesso modo la stragrande maggioranza dei sudditi del Reich non aveva la più pallida idea di quanto succedeva nel paese. In quello stato tutto era posto sotto segreto, tutto era avvolto gelosamente nel mistero, a partire dalla politica estera per finire con le calamità naturali e con la statistica dei divorzi. Nessuno sapeva nulla né aveva diritto di sapere, tutto era sottoposto a scrupoloso occultamento davanti alle orecchie e agli occhi di tutti, poiché ognuno era sospetto e la gente viveva con la convinzione che lo stato dentro e fuori fosse circondato da schiere di nemici. C'era la convinzione che questi nemici captassero avidamente qualsiasi parola sfuggita incautamente per usarla a danno del paese. E i nemici, il cui numero, nonostante le disposizioni per il loro sterminio, non diminuiva, erano al centro di enormi preoccupazioni all'interno delle istituzioni partitiche e statali; esisteva un autentico culto del nemico, non era più sufficiente per la lotta contro le spie sovversive una sola polizia segreta: nel vasto territorio del Reich funzionavano cinque polizie indipendenti l'una dall'altra e altrettanti controspionaggi; la loro rapida proliferazione faceva venire in mente l'analogo fenomeno nell’industria, campo assai promettente. I nemici e gli elementi ostili giustificavano l'esistenza di una massa enorme di uffici statali, e dunque l'opposizione al Reich, immaginaria o reale che tosse, in un certo senso era indispensabile alla sua stessa esistenza.

La natura mistica del Reich si esprimeva nel suo fondarsi su leggi di origine ignota. No, non su quelle leggi che solennemente si annunciavano al popolo, si iscrivevano nei libri d'oro e si scolpivano nel marmo, di cui era doveroso essere riconoscenti giorno e notte al governo e al partito; forse anche queste leggi avevano un effetto sul paese, ma nella sua vita non si riflettevano. Da base e da guida degli innumerevoli organismi esecutivi fungeva qualcos'altro. La segretezza delle interpretazioni parziali della legge, delle istruzioni, delle regole e di quelle particolari deliberazioni denominate obiettivi, per la maggior parte segreti, indiscutibili come il verbo divino, anche se non di rado si contraddicevano l'un l'altro, consisteva nel fatto che per quanto uno salisse la scala della gerarchia dirigenziale, da nessuna parte avrebbe trovato i compilatori di quelle leggi, né avrebbe trovato gli iniziatori e i creatori del regime; i compagni di partito, anche di alto grado, erano sempre meri esecutori di una direttiva emanata ancor più in alto e, dunque, avevano tutti pari responsabilità; o, in altre parole, nessuno rispondeva di nulla.

La suprema segretezza del Reich consisteva nel fatto che tutto quanto, dalla testa ai piedi, esso era permeato dal mito. Per la precisione, era un mito incarnatosi nella realtà, chiuso in se stesso e universale. Questo mito era davvero universale, poiché abbracciava tutti gli aspetti della vita. Conteneva in sé una risposta ultima e definitiva a tutti i problemi. L'enorme stato sorto come una fenice al centro dell'Europa al volgere del primo terzo del Novecento era una nazione mitica che aveva sostituito la mitologia alla storia, con davanti una moralità mitologica e un mitico ideale; in tutte le sue funzioni manifestava immancabilmente la propria essenza trascendente. Eppure il popolo l'accettava come se fosse la verità. Succedeva così perché l'autentica verità gli si presentava spaventosa e scomoda; la forza della segretezza, al contrario, allettava e riscaldava. Come un malato di mente, non era consapevole della propria follia. S'intende che il mito del Reich, come di ogni altro stato simile ad esso, a giudicarlo dall'opera dei suoi teorici, dalla produzione dei suoi poeti, dalle vite dei santi, dalla calligrafia scolastica, dalla logorrea delle guide, da qualunque escreto della coscienza nazionale, aveva un carattere del tutto delirante. Questo gli conferiva un fascino incomparabile. E il suo mito si sviluppava secondo le leggi ben note della formazione del delirio; e sarebbe illuminante osservare come, passato lo stadio produttivo (ossia l'epoca del rovesciamento rivoluzionario) e lo stadio di sistematizzazione, esso si sia avvicinato al livello in cui il delirio di chi ha disturbi psichici sbiadisce e si dissolve, lo stadio della disgregazione della psiche. Ma il Reich non sopravvisse alla morte del proprio mito, il regime non fece in tempo a estenuare se stesso, e forse fu per questo che restò giovane in eterno.

I tamburi si misero a rullare, l'uccello-fenice a battere le ali, il Reich, sentendo il bisogno pressante di espandersi, cominciò la guerra. Una propaganda senza precedenti per mole e sfacciataggine, con forza nuova fece risuonare i tamburi, e il mito, come bagnato dalla tempesta, rinacque e cominciò a brillare di tutti i colori al sole.

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