Le soluzioni trovate per ovviare al problema furono diverse, alcune squisitamente tecniche (modifiche ai giochi, spesso non autorizzate, per renderli più difficili), altre meramente gestionali (rotazione dei coin op più veloce, soprattutto quando i giocatori fissi diventavano troppo forti) e altre legate al game design stesso dei titoli. La scuola giapponese in questo senso si dimostrò particolarmente attiva e capace di intercettare una delle prime grandi mutazioni del mercato, sfruttandola a vantaggio del modello economico degli arcade. Pac-Man in particolare aveva dimostrato che gli utenti potevano apprezzare moltissimo la narrativizzazione dei videogiochi, tanto che dal gioco di Tōru Iwatani in poi fu tutto un fiorire di personaggi caratterizzati in modo riconoscibile, protagonisti di vere e proprie storie, raccontate attraverso delle brevi e spesso semplicissime sequenze narrative. L'epoca della rappresentazione simbolica era al tramonto, marginalizzata dall'avanzamento tecnologico che aveva inevitabilmente finito per alterare i gusti del pubblico, dandogli qualcosa che non aveva mai visto prima. Inoltre, la possibilità di raccontare delle storie aveva un grosso vantaggio per gli autori coin op: consentiva di delimitare in modo molto più arbitrario l'estensione dei giochi, permettendo di definire dei punti di inizio e di fine forti e vincolanti. In fondo ogni storia deve avere una sua conclusione, prima o poi.
Una retrospettiva sensata sulla serie Ghosts 'n Goblins non può che partire contestualizzando il primo capitolo all'interno del sistema economico che lo ha generato, evitando così i fraintendimenti tipici di chi tende a rileggere quell'epoca del videogioco adottando una prospettiva moderna, di suo poco efficace per comprenderla.
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